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SCHIANTO – TEMPEH ALLA BIRRA – FOTOGRAFIE DI ALESSANDRO ARNABOLDI

L’altro giorno ho visto la puntata clou di tutte le stagioni di Grey’s Anatomy. Dovevo essere l’unica sulla faccia della terra a non averla ancora vista. Ma non avevo mai visto questa serie tv fino a qualche tempo fa, dove mi sono appassionata alle vicende. Sapevo quindi che Derek sarebbe morto, impossibile non saperlo. Sapevo anche che il Dottor Stranamore avrebbe subito un incidente stradale.

Ero preparata quindi. O almeno era quello che credevo.

Invece no. Non si può essere mai abbastanza  preparati se una cosa l’hai vissuta sulla tua pelle. Non sai come la tua mente, il tuo cuore, il tuo corpo reagisca.

Stavo li a guardare il bel Patrick salvarsi dall’incidente e aiutare gli altri superstiti. Tra me e me pensavo che infondo non era così tremendo.Poi, quando pensi che il peggio sia passato, in un momento di distrazione ecco arrivare un camion all’improvviso. All’improvviso lo schianto.

Perchè è un momento di distrazione, lo schianto.

Un colpo frastornante, disorientante, sconcertante. Allo schianto non ci si abitua, anche se si è preparati.

Uno schianto che porto nel cuore e nell’anima, di cui non parlo mai se non raramente, e di cui porto le cicatrici ben visibili.

Pochissime persone sanno cosa è accaduto quasi 26 anni fa. Sono cresciuta con il peso di quello che mi è succeso, convincendomi che andasse tutto bene rassicurandomi e affrontando con grinta lo shock. Una cosa così tremenda, da cui ne ero uscita viva, non poteva sopraffarmi. Avrei dovuto vincere io. E così è stato, almeno penso. Ho imparato a conviverci, superando i traumi, cicatrizzando le ferite e sconfiggendo pian piano le paure. Andando avanti, tenendolo li relegato infondo all’anima.

Ho confidato solo a tre persone esattamente quello che mi è successo, quello che ho vissuto, quello che ho provato, quello che ho visto.

Alla mia migliore amica, tanto sensibile che spero possa comprendere il dramma e che quando lo ha scoperto si è stretta a me; a colui che pensavo fosse il mio migliore amico, che lo sentivo tanto vicino da avere il coraggio di raccontargli nel profondo il mio segreto ma che non ha retto il peso di tutta la mia anima e del bene che provavo per lui e che è scappato a gambe levate. E a mio marito, che non mi ha mai lasciata sola. Mi ha sempre tenuta stretta in un abbraccio rassicurante e protettivo. In tutti questi anni, ha vissuto con me il mio stato sconvolto e impaurito, ha supportare la mia grinta ed incitato la mia lotta contro gli spettri, le paure aiutandomi a superarle.

Altri sanno che ho avuto un incidente stradale. Alcuni sanno che è stato grave. Molti non sanno nulla. E se mi chiedevano come mai avessi quella cicatrice o quell’altro segno sorvolavo.

Era un giorno soleggiato di inizio anno. Doveva essere una domenica come le altre. Una domenica in famiglia a festeggiare la gioia di ritrovarci tutti insieme. Era da poco mancato il mio papà, ero poco più che bambina. Era stata una piacevole giornata e che sarebbe continuata ancora meglio. Dopo mesi di tristezza e fatica eravamo stati tutti insieme. Terminato il pranzo di famiglia avevo avuto il permesso di andare a ballare. La discoteca, un sogno che si realizzava. Non ci ero mai stata, non sapevo cosa aspettarmi.Ed ora così elettrizzata.

In macchina l’aria era allegra ed eccitata. Fino al momento in cui, per un attimo di distrazione, quell’abitacolo ricco di spensieratezza, mezzo per condurci a ore felici, non si è trasformato in una trappola di lamiera ed orrore.

Alla discoteca non ci siamo mai arrivati.

E’ stato tutto velocissimo, immediato e imprevedibile. Perchè è proprio così che appare, qualcosa che accade alla velocità aumentata, un vortice. E non capisci più nulla. Non riesci a renderti conto di cosa stia accadendo. Non riesci a comprendere se sia reale oppure no.

La mia testa era divisa in due. Da una parte la ragione. Riuscivo a sentire, pian piano riacquistavo la vista e capivo che stava accadendo qualcosa. Sentivo una voce urlare “hei, lei è viva, tiriamola fuori!” e sentivo la fiamma ossidrica aprire le lamiere sopra la mia testa. Vedevo le scintille. Ascoltavo cosa mi diceva il soccorritore, vedevo le altre persone intorrno a me. Il fumo, l’odore acre di bruciato.

Rispondevo alle sue domande ma lo supplicavo di lasciarmi stare. Di lasciarmi riposare. Ero così stanca. Avevo voglia di dormire. Vedevo una grande luce. Una luce che mi avvolgeva e mi rassicurava. Mi dava un senso di beatitudine. E volevo rimanere li, accoccolata a quella luce calda e luminosa. Non vedevo altro. Invece lui insisteva, mi chiedeva di parlare, di rimanere con lui. Ma io volevo rimanere nella luce. Volevo riposare.

Dall’altra parte c’era, come potrei chiamarlo…lo spirito, forse? Non dava retta alla ragione. Non importava cosa stesse accadendo. Era con quello che vedevo realmente. Il fumo, le altre anime e la luce. Quella che mi chiamava ed era così prepotentemente insistente. Vivevo uno stato di pace e di silenzio eppure sapevo di essere nel frastuono. Potevo vedere ogni cosa, tutta la scena come se fossi in un film.Vedevo me stessa, come se flutuassi sopra ogni cosa. Non provavo nulla nessun dolore e nessuna paura,  desideravo solo riposare.

Arrivata all’ospedale, in uno statao di semi incoscienza ma salvata da un coma irreversibile, sono stata strattonata, spostata, tagliata, suturata, bucata, cucita e quant’altro che vi risparmio. Me ne hanno fatte di tutti i colori. Concitatamente mi hanno salvata. Mi hanno messa nella condizione di potere affrontare le operazioni che avrei dovuto subire.

Da li, è iniziato un nuovo viaggio durato mesi per permettermi di rimettermi in piedi. Una lotta che ho affrontato con i denti perchè non potevo mollare, amo troppo la vita per arrendermi.

E ho superato a testa alta quello che è accaduto quel giorno. ma l’ho sempre vissuto nel cuore come una superstite. Ed infondo, il senso di colpa per essere sopravvissuta l’ho portato con me a lungo.

Mi dissero che forse non avrei più camminato, ma mi impegnai così tanto che potei tornare a ballare.

Mi dissero che non avrei potuto avere figli, ed invece con un po’ di salti mortali, ho il bambino più bello del mondo. A volte la scienza si sbaglia, fortunatamente. Ed è la nostra forza di volontà, la nostra fede e la nostra speranza, che fa si che le cose possano cambiare.

Questa estate, quando ho partecipato al seminario sulla Gratitudine di Assunta Corbo, ho rivissuto lo schianto. Ci conduceva, con la sua voce calma e rassicurante, al luogo e a un momento felice ed io mi sono ritrovata tra il fumo e le lamiere. Le urla, la voce del soccorritore, la luce.

Non provavo paura, timore, senso di colpa. Ero viva, è una gioia. Qualcosa per cui essere grata e rallegrarmi. Non rammaricarsi perchè sono stata scelta tra tutti. Forse ho una missione da compiere e non era il mio momento.

Da quell’esperienza ho iniziato a vivere anche la cucina con uno slancio ancora più grande. Espressione del mio essere, interpretazione della mia luce. Quella così calda e immensamente luminosa da sovrastare qualsiasi cosa.

Ho iniziato a spogliarmi del senso di colpa. L’ho portato addosso per troppo tempo. Non posso portare con me le pene per chi non c’è più, per chi non ce l’ha fatta. Per chi aveva un’altra missione.

Posso vivere con il cuore la mia vita. Ed è quello che da quel giorno sto facendo.

Lo schianto era una nuova rinascita. Quella che mi ha visto così determinata, coraggiosa e sicura ad affrontare questa nuova vita. Una vita fatta di amore e dedizione. Seguendo quello che desidero davvero fare. Quello che il mio cuore mi conduce a provare.

Non importa null’altro. Sono viva e celebro la vita ogni giorno.

Ci sono schianti che ti cambiano la vita, ed altri che la ribaltano un’altra volta. Nulla ès tatico, tutto cambia. Tutto può cambiare. Ma tutto ha un ordine, un motivo.

Io sono felice, sono viva e posso raccontarlo. E posso cucinare, divulgare, far conoscere e donare istanti di felicità.

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tempeh alla birra

Schianto

Tempeh alla birra

Ingredienti per 4 persone:

400 gr di tempeh

1 carota

1 porro

1 cucchiaio di senape antica in grani

200 ml di birra chiara a piacere

1 cucchiaio di salsa tamari

1 spicchio di aglio

4 patate viola

radicchio rosso

misticanza

100 gr di basilico, prezzemolo e dragoncello (oppure foglie di sedano)

50 gr di pistacchi

sale, pepe e olio evo e di girasole alto oleico

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tempeh alla birra

Procedimento:

Affettare la carota e il porro. Stufarli dolcemente in tre cucchiai di olio di girasole e lo spicchio di aglio. Eliminare l’aglio, mettere il tempeg affettato e farlo rosolare alzando la fiamma per un fuoco medio alto. Sfumare con la birra e, quando evaporata, unire la senape. Infine sfumare con la salsa di soia. Riabbassare la fiamma, unire poca acqua e cuocere per altri 10 minuti, girando spesso il tempeh su tutti i lati.

Frullare i pistacchi con un cucchiaio di olio di girasole.e un pizzico di sale. Unire le erbe aromatiche e continuare a frullare unendo un altro cucchiaio di olio evo. Ottenere una crema omogenea.

Lessare le patate viola, partendo da acqua fredda, per 15 minuti dal momento del bollore.

Lavare e condire il radicchio e l’insalata a foglie verdi.

Servire il tempeh mettendo come base la salsa verde. Posizionare la misticanza, la patata viola e condire con il fondo di cotura del tempeh.

Buon appetito!

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Tempi di preparazione:

45 minuti circa

 

 

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